Mi chiamo Nicoletta e lavoro da sempre come educatrice nel nido e nella scuola dell’infanzia.
Nel tempo mi sono avvicinata al mondo del terzo settore, sperimentandomi in contesti diversi e qualificandomi come educatrice professionale.
Dal 2018 io e mio figlio Tommaso facciamo parte della grande famiglia di Sport Senza Frontiere.
La nostra prima esperienza è stata intensa e coinvolgente.
Lui aveva solo cinque anni e, insieme ai suoi quattro amici più cari della scuola dell’infanzia, ha partecipato a Joy.
Io ero la loro educatrice volontaria, insieme a Olaya, una ragazza allora di 16 anni.
Ci siamo presi cura di loro giorno e notte. È stato faticoso, ma ricordo quell’inizio con grande affetto.
Ci siamo sentiti accolti fin da subito. Bambine e bambini si sono integrati con naturalezza in un gruppo eterogeneo per età e provenienza.
È questo uno degli aspetti più belli di Joy: l’integrazione. Ogni bambina e ogni bambino si sente valorizzato per ciò che è, senza bisogno di cambiare o adeguarsi.
Le differenze, invece di creare distanza, diventano un punto di forza.
A Joy le condizioni sociali ed economiche non definiscono nessuno. Ciascuna e ciascuno porta sé stesso, con la propria storia, i propri talenti, le proprie fragilità.
E viene accolto con rispetto e attenzione. Il lavoro del team – educatrici, educatori, psicologhe, psicologi, tutor, coordinatrici e coordinatori – è così autentico che questi valori si trasmettono naturalmente a tutte le ragazze e a tutti i ragazzi.
Quello che accade a Joy ha qualcosa di speciale.
Nascono legami autentici, spesso tra persone che nella vita di tutti i giorni non si sarebbero mai incrociate.
È questa ricchezza umana che, nonostante la stanchezza con cui arrivo a giugno, mi fa scegliere di tornare. Ogni edizione mi arricchisce, grazie alle bambine, ai bambini e alle famiglie che incontro.
E alla fine torno a casa sempre con qualcosa in più.